Storia di Tesi di Mariana Ciavarro

Trovare lavoro per un giovane oggi è davvero un’Odissea? Una metafora classica per presentare il tema dell’ingresso del mondo del lavoro, dell’orientamento e del coaching a questa fase della vita.

Università Pontificia Salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione

Autore: Mariana Ciavarro

Di cosa tratta la tua tesi?
La mia tesi magistrale si intitola “Odissea lavorativa del giovane adulto e career coaching. Un approccio educativo”. La ricerca si propone di evidenziare la centralità dell’aspetto educativo nelle pratiche legate al career coaching, intese come interventi di cura educativa a sostegno dell’adultità emergente del giovane che si affaccia nel mondo del lavoro, per renderlo protagonista delle sue scelte in ambito professionale con la finalità di promuovere il suo empowerment, la progettualità e proattività.
Ho pensato, in primis, di raccontare brevemente qual è stata la metafora di fondo che ha accompagnato il progetto e, in secondo luogo, di fare un po’ di chiarezza sui termini che, già nel titolo dell’elaborato, si incontrano.

Considerando la mia formazione come un continuum credo che la base “classica” che mi ha sempre accompagnato sia un qualcosa che mi permette di guardare la mia professione in un dato modo: ciò che ho imparato dai cosiddetti classici è che la memoria storica, le parole e gli intrecci narrativi sono ciò che tiene l’uomo necessariamente ancorato a terra ma, al contempo, con la punta del naso all’insù, come i de-siderantes, i soldati romani che scrutavano il cielo stellato prima della battaglia; l’Odissea, appunto, è qualcosa che nonostante il passare del tempo resta fermo e ci costringe a guardare l’essenziale: la guerra, l’uomo, il viaggio, la patria, la famiglia sono temi che ci terrebbero qui a discutere a lungo.

La vita è a Itaca e, nella particolare metafora che ci accingiamo a leggere, Itaca è la comunità-che-cura.
Ma andiamo per ordine:
– L’intenzione è quella di non porre l’accento sul significato di Odissea come avvicendarsi di peripezie e disgrazie ma come viaggio personalissimo del giovane verso l’inveramento della sua vocazione professionale; l’accostamento è anche al concetto di società liquida che il sociologo Bauman, da poco scomparso, promulga;
– Nel corso dell’elaborato si contrappone alla liquidità della società quello della solidità della comunità-che-cura, intesa come community care, che ha cura del protagonismo attivo e integrato di tutti i suoi membri;
– Se il career coach è un esperto che aiuta a migliorare la propria performance o a fare un salto di qualità professionale servendosi di conoscenze manageriali, psicopedagogiche e alcune soft skills che gli permettono di gestire il processo di coaching, finalizzato alla valorizzazione e all’empowerment dell’individuo in ambito professionale, perché non può essere un pedagogista a svolgere tale intervento?

Ciò che è cogente è rivedere come, in ambito delle nostre strutture socio-educative, viene affrontato con i giovani e gli adulti il tema del lavoro: nel contesto dell’università, ad esempio, dovrebbe essere data maggior rilevanza a questo tema.

Perché hai voluto toccare questo argomento, che conclusioni hai tratto?
L’idea di trattare questo argomento mi è venuta durante un seminario, riflettendo su come avrei potuto dare un apporto “particolare” alla società essendo un professionista nel campo delle scienze dell’educazione. Qualcuno si chiederà se so di essere laureata in “scienze delle merendine”: non vi preoccupate, lo so benissimo, e ne vado anche fiera! Credo che sia un impegno scientifico di qualsiasi laureando o laureato far conoscere le peculiarità del suo percorso di studi e di riflettere attentamente su quest’ultimo in modo da far emergere sempre nuove figure professionali.
Le conclusioni che ho tratto sono che il “mix” di conoscenze e competenze necessarie al career coaching come pratica educativa di cura sottolinea l’unità inscindibile tra le due “anime” dell’esperto di scienze dell’educazione, quella legata al project management, che guarda all’aspetto manageriale e progettuale, e quella prettamente pedagogica, che si concentra sull’educando come persona per garantirne un sviluppo equilibrato. La mia tesi è un tentativo di dare un volto professionale al coach e di dimostrare che è necessario sì ideare strategie di sviluppo che consentono alle persone di raggiungere i loro obiettivi di prestazioni migliori o di miglioramento di carriera, ma anche e soprattutto di crescita, in modo che la comunità-che-cura possa essere un baluardo di solidità, immerso nella società liquida, in grado di permettere ai giovani di diventare ciò che sono.
Nelle conclusioni mi è piaciuto definire il coach esperto di educazione, con un espressione presa in prestito dal professor D’Avenia, come «un’àncora e un ancòra» nella liquidità della società in cui opera: è àncora, in quanto fervente rappresentante di una solida comunità-che-cura, capace di aiutare i naufraghi a trovare un appiglio, di mettere un punto, di fermarsi a guardare cosa restituisce il mare e riprendere fiato; è un ancòra perché, marinaio instancabile, non smette mai di lavorare per la sua morte, per quando, recuperate le forze, inevitabilmente, sarà di nuovo ora per il coachee di rituffarsi da solo nel tempestoso mare della società per continuare a diventare ciò che è.

In futuro continuerai ad approfondirlo?
Mi piacerebbe molto: i miei sogni nel cassetto sono pubblicare la mia tesi, in modo che possa interessare/interpellare altre persone e (magari!) continuare anche la ricerca sul campo; iscrivermi ad una scuola di coaching per affinare tecniche e conoscenze; poter esercitare questa professione e veder concretizzarsi questa mia “utopia” pedagogica.

Pensi che la tesi ti sarà utile per il tuo futuro professionale, e in che modo?
Lo spero! Mi piacerebbe continuare a studiare in questa direzione ed esercitare questa nuova professione! Se così non sarà mi ha aiutato di certo ad avere una sensibilità diversa nei confronti delle persone in cerca di lavoro, dei giovani che devono prendere delle decisioni formative e lavorative per la loro vita e di quanti si trovano a dover far fronte ad un licenziamento, e a poter dar loro risposte diverse rispetto a chi, pure avendo gli strumenti per aiutarli, non ha approfondito questo tema.

Quale consiglio daresti ad un collega laureando per preparare la sua tesi?
I miei consigli sono due: scegliere un relatore puntuale e di cui ha stima e portare avanti un tema o una ricerca che lo appassiona! Questi consigli, che ho dato anche a me stessa, mi hanno permesso di arrivare al traguardo senza mai scoraggiarmi troppo, anche quando non trovavo materiale che mi soddisfaceva, le correzioni non arrivavano, quando lavoravo al pc di notte o sui mezzi pubblici dopo un’intensa giornata di lezioni all’università.

Il tuo corso di laurea che figura professionale forma? Dove potresti lavorare?
Il mio corso di laurea forma Pedagogisti e/o Coordinatori di strutture ed equipe socio-educative. Siamo specialisti di processi formativi che pianificano la realtà educativa secondo i bisogni delle persone lungo tutto l’arco della vita dell’individuo, al fine di promuovere benessere e autonomia del soggetto, nel rispetto di tutte le dimensioni che lo caratterizzano; non siamo psicologi, insegnanti, tate e non per forza lavoriamo con i bambini.
Svolgiamo il nostro lavoro come dipendenti o liberi professionisti nel terzo settore, a scuola, nei consultori, nelle associazioni e negli ambiti giuridico, socio-sanitario e aziendale, per ciò che riguarda le risorse umane.

Sceglieresti di nuovo il corso che hai frequentato?
Ad occhi chiusi: anche se la precarietà e le difficoltà non mancano, credo fermamente nel quid che il mio corso di laurea e la mia professionalità possono dare alla società in cui viviamo!

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