Cosa sono i Relocation Camps? Noi l’abbiamo scoperto grazie a Giulia Corbetta. E se ti piace la storia non potrai che pensare che Giulia ha fatto un gran lavoro per la sua tesi di laurea!
Autore: Giulia Corbetta
Universà degli Studi di Milano – Scuola di Scienze della Mediazione Linguistica e Culturale
Laurea Magistrale – Facoltà di lingue e culture per la comunicazione e cooperazione internazionale, dopo una laurea triennale in lingue e letterature straniere all’Università degli Studi di Bergamo.
Scelte per la stampa: 2 rilegature rigide in Similpelle Blu Notte, stampa color argento
Titolo: L’INTERNAMENTO DEI NIPPO-AMERICANI: CREAZIONE, REALTÀ E IMPATTO DEI RELOCATION CAMPS NEGLI STATI UNITI
La mia tesi riguardava l’esperienza delle deportazioni e dell’internamento subita dalla comunità nippo-americana negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Questo capitolo della storia nippo-americana ebbe inizio dopo l’attacco di Pearl Harbor nel dicembre 1941, che segnò l’entrata in guerra degli Stati Uniti e influenzò le opinioni dell’America sugli asiatici e l’atteggiamento della popolazione nei loro confronti.
Le ripercussioni dell’entrata in guerra colpirono la comunità nippo-americana della West Coast, che fu sospettata di nascondere tra i propri ranghi spie e sabotatori responsabili dell’attacco di Pearl Harbor e nel giro di poche settimane l’esercito fu investito dal presidente Roosevelt del potere di rimuovere in massa i circa 120.000 nippo-americani che abitavano la costa, considerata obiettivo sensibile.
Essi furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e interrompere le attività, fare le valigie e presentarsi ai punti di raccolta per essere poi deportati in campi, chiamati relocation camps, situati nell’entroterra, in zone aride e spoglie e recintati con filo spinato, dove sarebbero rimasti fino alla fine della guerra. Il governo tolse loro la libertà senza un corretto processo e ignorò i loro diritti, nascondendosi dietro alla giustificazione di necessità militare per coprire in realtà motivazioni basate su discriminazione e razzismo. Nell’elaborato ho quindi preso in considerazione le cause della decisione di deportare e internare i nippo-americani, lo svolgimento del processo stesso e la reazione delle vittime, compreso il loro adattamento alla vita nei campi e gli episodi di violenza che scoppiarono al loro interno, nonché le conseguenze dell’esperienza sulla comunità nippo-americana anche fino ai giorni nostri.
Una delle ragioni per cui ho scelto questo argomento è l’apparente mancanza in Italia di conoscenza e visibilità di questo capitolo della storia nippo-americana nonché punto dolente nella storia degli Stati Uniti. A scuola si studia sempre la seconda guerra mondiale, ma se non avessi sentito parlare di relocation camps in una lezione di cultura giapponese l’anno scorso non avrei per niente saputo della loro esistenza. Mi è subito sembrato un argomento interessante e certamente da approfondire, e in quanto studentessa di lingue e culture, specializzata in quelle inglese e giapponese, ho pensato che fosse l’argomento perfetto per me. Certamente nella scelta ha aiutato anche il fatto che sono una grande amante della storia.
Diciamo che ho cercato di capire se davvero il governo americano avesse agito sulla base di pericoli fondati o solo per isteria di guerra e discriminazione radicata, e la conclusione è stata che purtroppo il pregiudizio in quell’occasione risultò vincente, condannando un’intera comunità a vivere per anni circondati da filo spinato e calpestando i loro diritti e le loro libertà civili. Più imparavo e scrivevo, più mi accorgevo delle grandi similitudini che questa storia condivide con la cronaca moderna. Questioni come immigrazione, terrorismo e violazione delle libertà civili in nome della sicurezza pubblica creano davvero tantissimi paralleli all’argomento di cui stavo scrivendo, e credo sia un bene tenere vive queste storie di ingiustizie, perché permettono nuove riflessioni e fanno capire che è importante impedire che si ripetano.
Ad un futuro laureando innanzitutto direi di armarsi di pazienza, perché correre avanti e indietro dai ricevimenti con i professori per correggere capitolo dopo capitolo, o dover aspettare una correzione per giorni che sembrano infiniti può far uscire di testa chiunque.
Quindi consiglierei di avere comunque una tabella di marcia abbastanza precisa, e un piano di lavoro ben fatto: è molto più semplice costruire una tesi quando si ha bene in mente in quali fonti si trovano quali informazioni, piuttosto che doverle recuperare all’ultimo minuto perché si credeva di trovarle facilmente e invece non è stato così. E così anche se c’è qualche ritardo perché i professori sembrano sparire quando si aspetta ardentemente un loro segno si può andare avanti a scrivere senza perdere tempo e senza dover andare di fretta i giorni prima della scadenza della consegna. Insomma evitare di fare tutto all’ultimo secondo!
Il mio corso di laurea magistrale forma traduttori o comunque figure che possono lavorare nel settore pubblico o privato, in organizzazioni internazionali o enti che hanno a che fare con l’integrazione culturale, linguistica o socio-economica. Si può anche lavorare nelle comunicazioni, sempre in un contesto multiculturale o multilinguistico, oppure si può diventare docenti.
Cara Giulia… Grazie!
Grazie per averci raccontato del tuo percorso di studi (il passaggio da Bergamo a Milano seguendo la tua passione per il giapponese è degna di ammirazione) e della tua tesi. Abbiamo imparato qualcosa anche noi e questo… credo sia un grande successo per una tesi di laurea 🙂