La fotografia è uno dei massimi esponenti di espressività, un potente strumento mediatore, utilizzato per rappresentare ed esprimere le emozioni e le sensazioni.
Sofia nella sua tesi, esplora il mondo della fototerapia, per l’espressione massima di donne affette da malattie terminali.
Autore: Sofia Sattin
Università Ca’ Foscari di Venezia – Corso di Laurea Magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici
Titolo: Fotografia performativa e fototerapia. Un antidoto al corpo femminile stigmatizzato: Jo Spence, Hannah Wilke, Kia LaBeija.
Di che cosa tratta la tua tesi?
Partendo da una riflessione attorno al tema della fototerapia nella fotografia contemporanea, la tesi esplora e mette a confronto alcuni casi studio. Le artiste in questione sono artiste internazionali che dialogano con il proprio corpo malato e la sua rappresentazione attraverso il mezzo fotografico.
La tesi prende in esame e mette a confronto i lavori di Jo Spence (1934-1992) e Hannah Wilke (1940-1993), incentrati sul proprio corpo destabilizzato dal cancro.
Al centro dell’analisi: la relazione tra identità e rappresentazione fotografica, l’unione tra vita personale e produzione artistica e, soprattutto, la necessità di cambiare atteggiamento nei confronti della malattia.
Segue un approfondimento sul lavoro di Kia LaBeija (1990), artista multidisciplinare, di una generazione più giovane rispetto a Wilke e Spence, affetta da HIV dalla nascita.
Attraverso i suoi autoritratti fotografici, LaBeija racconta e testimonia il suo rapporto con la malattia, combattendo la stigmatizzazione del corpo femminile.
Perché hai voluto toccare questo argomento, che conclusioni hai tratto?
Ho scelto questo argomento innanzitutto per l’interesse per la forma performativa della fotografia e la sua applicazione come strumento utile per osservare la propria quotidianità da altri punti di vista.
Imbattendomi nelle artiste inserite nell’elaborato, inoltre, ho visto una possibile continuità e vicinanza sull’utilizzo di questo mezzo a scopo auto-terapeutico. Un punto di vista che non conoscevo e che mi ha motivata ad approfondire la ricerca in questa direzione.
Ho avuto modo anche di intervistare le artiste Claudia Amatruda e Kia LaBeija, le quali hanno arricchito il mio lavoro con le loro testimonianze dirette.
Quale consiglio daresti a un collega laureando per preparare la sua tesi?
Il consiglio che mi sento di dare è quello di lasciarsi sempre stupire, di non avere timore di avere le idee poco chiare.
Se ci si approccia alla ricerca con curiosità (e non con il paraocchi), gli elementi affioreranno da soli e rimane solo da seguirli.
Che rilegatura hai scelto per la tua tesi e perché?
Ho scelto la rilegatura rigida top incisa tinta unita beige con la stampa rame per la copia principale. Per le copie per le relatrici ho invece optato per una rilegatura brossurata color rosa mattone con stampa bianca. Ho scelto queste due tipologie per i colori tenui ma comunque particolari. Ho allineato, poi, anche la mia presentazione PowerPoint a queste tonalità.
Sceglieresti di nuovo il corso di laurea che hai frequentato?
Molte volte ho pensato di no. Tuttavia, molti avvenimenti e scoperte della mia vita non sarebbero state possibili senza questo percorso, perciò non me lo chiedo più di tanto (pensiamo al presente).
Se potessi tornare al tuo primo giorno di università, quale consiglio daresti al te stess* dell’epoca?
Mi direi di lottare il più possibile contro la tendenza a soccombere all’aridità che lo studio può causare quando non è mosso da interesse genuino ma dalle pressioni e dai ritmi sociali/accademici.
E, banalmente, mi direi di non aver paura di togliere tempo allo studio leggendo anche solo un libro non universitario, di non privarmi cioè della sfera personale, anche se la vita universitaria richiede tempo e dedizione.
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